La tregua in Medioriente somiglia a un filo teso che rischia di spezzarsi a ogni scossa. In questo scenario complesso e incerto, il Papa incontra Abu Mazen in Vaticano e rilancia con forza l’appello a una soluzione a due Stati, unica via possibile – secondo il Pontefice – per garantire una convivenza stabile tra israeliani e palestinesi.
L’incontro, carico di significato politico e spirituale, arriva in un momento in cui la tensione è tornata a salire. Israele ha confermato l’identità dell’ultimo ostaggio restituito da Hamas: si tratta del soldato israeliano-americano Itay Chen. Un gesto che riaccende il dolore di un popolo e la rabbia di un Paese ancora in guerra.
Nel frattempo, i coloni israeliani hanno fatto irruzione nella moschea di Al-Aqsa, alimentando nuove tensioni in un luogo sacro che da sempre rappresenta il cuore del conflitto. Sul fronte diplomatico, gli Stati Uniti spingono per creare una forza internazionale a Gaza, con il mandato di mantenere la stabilità per almeno due anni. Un piano ambizioso, ma difficile da realizzare in un contesto in cui la fiducia reciproca è ormai un lusso.
Il messaggio del Papa, però, va oltre la politica: chiede un atto di coraggio morale, un ritorno all’umanità che la guerra sembra aver sepolto sotto le macerie. In un tempo in cui le parole sembrano avere perso valore, la voce del Pontefice torna a ricordare che la pace non è un sogno ingenuo, ma una responsabilità condivisa.

