Citofono Muto segna un punto di svolta nella lotta tra contribuenti e Fisco. La Cassazione, con l’ordinanza 5818/2024, ha stabilito che l’assenza del nome del contribuente sul citofono non può essere considerata prova sufficiente di irreperibilità per giustificare la notifica di atti fiscali presso la casa comunale. Una decisione che mette in luce la necessità di un’indagine più approfondita prima di procedere con questo tipo di notifiche.
Nel cuore del dibattito, la sentenza emersa dal tribunale di Pescara che, ora ribaltata, aveva originariamente validato una notifica eseguita senza che fossero documentate adeguate ricerche post-verifica del citofono “muto”. La Cassazione ha chiarito: l’ufficiale giudiziario deve attestare le operazioni di ricerca effettuate per verificare la reale irreperibilità del contribuente, una procedura che va oltre la semplice constatazione dell’assenza del nome dall’elenco citofoni.
Il verdetto della Cassazione sottolinea un principio fondamentale: la diligenza. Non basta un citofono muto per dichiarare l’irreperibilità di un contribuente. Prima di depositare l’atto nella casa comunale, è necessario compiere un passo ulteriore, dimostrando che sono state fatte tutte le possibili ricerche. Questa decisione pone un freno alle pratiche frettolose e richiede un maggiore impegno nell’indagine sulla reale posizione del contribuente, garantendo così maggiori tutele per i cittadini.
Questa sentenza segna un momento importante nella relazione tra i cittadini e le autorità fiscali. Citofono Muto diventa un simbolo di una richiesta di maggiore attenzione e cura nell’esecuzione delle notifiche. L’attenzione della Cassazione verso le procedure di notifica non solo tutela i diritti dei contribuenti ma invita anche a una riflessione sulla necessità di aggiornare e migliorare i meccanismi attuali, per renderli più giusti e meno arbitrari.
