Zucchero nei prodotti per l’infanzia sembra essere diventato una pratica comune per Nestlé nei mercati emergenti, mettendo in luce le differenze nelle politiche nutrizionali tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo.
Quando il dolce non è così dolce
Il recente report di Public Eye ha acceso i riflettori su una pratica controversa: l’aggiunta di zucchero nei prodotti per l’infanzia, una strategia che Nestlé applica principalmente nei Paesi del terzo mondo. I cereali e il latte di proseguimento, che in Europa vantano di non contenere zuccheri aggiunti, si trasformano notevolmente quando attraversano i confini verso mercati meno regolamentati.
Confronti Globali e locale disparità
Analizzando alcuni prodotti come Cerelac e Nido, è emerso che il contenuto di zuccheri aggiunti varia drammaticamente. Ad esempio, in paesi come Bangladesh e Thailandia, il contenuto di zuccheri per porzione supera quello che si potrebbe trovare in una zolletta di zucchero standard in Italia o in Svizzera. Questa discrepanza non solo solleva questioni di equità ma anche preoccupazioni sanitarie, visto che l’abitudine al gusto dolce può portare a obesità e diabete in età precoce.
Nestlé si difende
Di fronte a tali accuse, Nestlé non si è tirata indietro. L’azienda afferma di rispettare gli standard internazionali e che tutti i suoi prodotti sono conformi alle normative locali, inclusi i limiti sui carboidrati e zuccheri. Un portavoce ha anche sottolineato l’impegno dell’azienda nella riduzione degli zuccheri aggiunti globalmente, con un taglio dell’11% negli ultimi dieci anni.
Lo zucchero nei prodotti per l’infanzia è un tema che va oltre la semplice composizione nutrizionale, toccando le corde della responsabilità sociale e della salute pubblica. Mentre Nestlé si impegna a riformulare ulteriormente i suoi prodotti, il dibattito rimane acceso su quali dovrebbero essere i veri standard per proteggere i consumatori più giovani, soprattutto in contesti vulnerabili.