Patatine vs Ostia è diventato l’argomento del momento, dopo che una pubblicità, definita da molti come blasfema, è stata fermata sul nascere. Un noto brand di snack si è trovato al centro di una tempesta mediatica per aver osato sostituire l’ostia della Comunione con una patatina, nel tentativo di sedurre il palato e, forse, l’animo di fedeli e non. Ma cosa succede quando il marketing supera il limite della creatività, sfiorando la blasfemia?
Al centro della bufera, uno spot che vedeva protagonisti una confezione di patatine e un gruppo di suore, intento che ha sollevato non poche sopracciglia e altrettante polemiche. L’Associazione Italiana dei Telespettatori (Aiart), baluardo della moralità televisiva e non solo, ha sollevato lo scudo della fede, chiedendo lo stop immediato della pubblicità. Secondo l’Aiart, il tentativo di sostituire l’ostia con una patatina è stato visto non solo come un affronto alla sensibilità religiosa di milioni di cattolici, ma anche come un deplorevole abbassamento dei confini tra sacro e profano.
In un’epoca dove il politically correct sembra dominare ogni aspetto della vita pubblica, questa pubblicità ha riacceso il dibattito sulla libertà di espressione contro il rispetto delle convinzioni altrui. Patatine vs Ostia non è solo una questione di snack contro sacramento, ma riflette una più ampia discussione sulla sensibilità sociale e sull’indifferenza etica che, secondo alcuni, caratterizza l’attuale panorama pubblicitario.
L’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria ha risposto al richiamo, ponendo uno stop a quello che è stato definito un “tentativo penoso di risollevare un’azienda ricorrendo alla blasfemia“. Un gesto simbolico, ma che parla volumi sulla tensione tra innovazione nel marketing e rispetto delle tradizioni e della fede.
La decisione ha trovato eco anche oltre i confini del piccolo schermo, con l’esempio di una scuola cattolica che ha boicottato il brand di patatine, rimuovendolo dai propri distributori automatici. Un piccolo gesto, ma significativo, che sottolinea come la fede e le convinzioni personali possano influenzare anche le scelte di consumo.
Patatine vs Ostia è più di un semplice caso di marketing fallito; è un campanello d’allarme su come la pubblicità, nel tentativo di essere sempre più accattivante e provocatoria, debba navigare con attenzione le acque sempre più agitate della sensibilità pubblica. La lezione da imparare? Forse, che certe provocazioni non valgono il rischio di alienare una parte significativa del proprio pubblico.