In un mondo dove le parole volano più veloci dei pensieri, il sistema penitenziario italiano si ritrova ancora una volta sotto i riflettori. “Carceri: il dilemma dei fondi psicologi” non è solo l’ultimo grido della moda nel gossip politico, ma una realtà che ci costringe a riflettere.
A Roma, si sono levate voci che parlano di un aumento dei fondi destinati agli psicologi nelle prigioni. Mentre alcuni potrebbero applaudire al pensiero di un miglioramento del benessere mentale dei detenuti, altri sollevano un sopracciglio scettico. Gennarino De Fazio, custode dei segreti della UILPA Polizia Penitenziaria, non ha peli sulla lingua: l’incremento dei fondi, benché possa sembrare un passo avanti, in realtà non fa che dipingere una facciata su un edificio ormai fatiscente.
Il cuore della questione è semplice: nonostante i bei titoli e le promesse di miglioramento, il sistema è fermo. Fermo come l’acqua di uno stagno in una giornata senza vento. Con oltre 61mila anime racchiuse dietro le sbarre, e solo poco più di 47mila posti letto, il conto non torna. E, in questo macabro gioco di numeri, 28 detenuti hanno già scelto di abbandonare il gioco nei primi 93 giorni dell’anno.
De Fazio lancia un appello al Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e al Governo Meloni: è tempo di agire. Non con annunci luccicanti o mosse da maestri di scacchi in crisi, ma con interventi concreti. Parole che trovano eco nelle fredde mura delle prigioni, dove la speranza sembra una moneta sempre più rara.
“Carceri: il dilemma dei fondi psicologi” non è solo un titolo accattivante, è un campanello d’allarme. Uno che ci ricorda che, in un mondo in cerca di umanità, forse dovremmo iniziare da dove l’umanità sembra aver perso la strada. La questione non è solo di fondi, ma di come questi vengono utilizzati, in un sistema che necessita non solo di cure, ma di una vera rivoluzione.