Anche quest’anno, Jerez de la Frontera ospita il FIM (Federazione Internazionale Motociclismo) Gala Ceremony, la festa del motociclismo, un’occasione per tirare le somme e fare un bilancio della stagione appena conclusa.
Il motomondiale 2015 è iniziato nel migliore dei modi per i piloti italiani: podio tricolore, con le due Ducati, guidate da Andrea Dovizioso (secondo) e da Andrea Iannone (terzo), che si piazzano alle spalle del nove volte campione del mondo, col numero 46 ben visibile, Valentino Rossi. Vale parte forte, piazzandosi sempre sul podio nelle gare successive, fino al tredicesimo gran premio della stagione (su diciotto totali), quello di Misano, dove la gara è stata condizionata dalla pioggia. Gli appassionati ed i tifosi hanno ammirato, per quasi tutta la stagione, uno spettacolo unico, una moto gp di livello molto più alto rispetto agli ultimi anni, un mondiale tirato, combattuto, una lotta a distanza (perché i duelli in pista tra i due sono stati pochissimi) tra i piloti Yamaha, Jorge Lorenzo e Rossi, appunto. Qualcosa, però, spezza la magia. Siamo a Phillip Island, circuito d’Australia, terzultima tappa del mondiale. L’ordine d’arrivo è: Marc Marquez, Jorge Lorenzo, Andrea Iannone, Valentino Rossi. Qualcosa di strano, anche se apparentemente innocuo, accade all’ultimo giro. Marquez, il prodigio spagnolo, incostante e spesso a terra nelle precedenti apparizioni stagionali, dopo aver lottato con Rossi per tutta la gara al suo ritmo, accelera, abbassa il suo tempo cronometrico di circa un secondo e va a riprendere Lorenzo che, grazie al duello che si svolgeva alle sue spalle, era riuscito a guadagnare un po’ di terreno sul diretto avversario per il titolo. Nonostante ciò, nessuno si rende conto di quello che è realmente avvenuto in pista, fino a che Rossi, telemetrie e tempi di gara alla mano, si sfoga in conferenza stampa, dichiarando apertamente di essere preoccupato perché “Marquez sta aiutando Lorenzo a vincere il mondiale”. Inizialmente le dichiarazioni di Vale vengono interpretate come le affermazioni folli di un pilota sotto pressione o come una tattica per togliere concentrazione ai rivali. Chi conosce Rossi, però, sa, o dovrebbe sapere, che quando si parla di dati tecnici, di tempi, di telemetrie, il dottore difficilmente prende un granchio. Arriviamo, così, alla penultima gara della stagione, a Sepang, il 25 ottobre 2015. La situazione si presenta chiara davanti agli occhi di milioni di spettatori: Marquez regola palesemente il suo ritmo e la sua condotta di gara con l’obiettivo di rallentare Rossi. Quando il campione di Tavullia capisce, dopo una serie di sorpassi e controsorpassi con lo spagnolo, di aver perso il contatto con Lorenzo, troppo lontano ed irraggiungibile, commette un errore fatale: reagisce. Proprio lui, il pilota capace di demolire psicologicamente tutti gli avversari in pista, all’età di 36 anni, con circa 20 anni di esperienza nel motomondiale, perde la lucidità. Rossi rallenta, spinge volutamente Marc fuori traiettoria, fino a che i due si toccano, nel momento in cui lo spagnolo cerca di concludere la curva normalmente (non c’è nessun calcio da parte di Valentino, come molti sostengono) e proprio il Cabroncito cade. Marquez ha ottenuto ciò che voleva, ha violato le leggi non scritte del fair-play, sfortunatamente senza trasgredire alcuna norma ufficiale del regolamento, ha realizzato un “biscotto”, un termine impiegato soprattutto quando si parla di calcio, una parola lontana dal mondo del motociclismo, almeno fino al 25 ottobre di quest’anno. Rossi, giudicato responsabile di una manovra pericolosa, è costretto a partire ultimo in griglia a Valencia, tappa finale del campionato. Nel caos generale, Lorenzo, tenuto a tacere visto il palese aiuto del connazionale, comincia a rilasciare una serie di dichiarazioni, colme di risentimento, dove sostiene che la pena inflitta a Valentino sia troppo lieve, dove nega categoricamente di essere stato aiutato. L’opinione pubblica si schiera principalmente dalla parte di Rossi, anche in Spagna, arrivando ad esagerare, con minacce ed insulti pesanti nei confronti dei due piloti spagnoli. Inutile dire che a Valencia Marquez decide di concludere ciò che aveva iniziato, scortando letteralmente Lorenzo alla vittoria, senza mai provare a superarlo, nonostante fosse evidentemente più veloce, rendendo inutile la rimonta di Vale, da ultimo a quarto. Da una potenziale stagione perfetta dal punto di vista dello spettacolo, indipendentemente dal risultato finale (anche se vedere una leggenda come Rossi ottenere il decimo titolo sarebbe stato un momento storico per lo sport italiano e mondiale), si è arrivati alla “fine del motociclismo”. Perché un pilota che va in pista per rallentarne un altro non è un vero pilota. Lo spirito di un motociclista, in costante lotta con le leggi della fisica, impone di superare i propri limiti, di dare il massimo, provando a domare la velocità pura, rincorrendo il vento. Gli infantili risentimenti personali e l’antisportività di Marquez non hanno niente a che fare con il motociclismo, lo sport più bello del mondo, rovinato da un falso pilota. Una cosa, però, è certa: il motomondiale 2015 sarà ricordato come una delle pagine più brutte della storia di questo sport e come il mondiale rubato al più grande motociclista di tutti i tempi, l’immortale Valentino Rossi.
D.T.