La lunga vicenda giudiziaria iniziata nel 2014, quando una donna riportò gravi lesioni cadendo sulla scalinata di Trinità dei Monti, si è conclusa con un verdetto definitivo: nessun risarcimento. La Cassazione ha confermato le decisioni già espresse dai giudici di primo e secondo grado, stabilendo che la caduta non è imputabile allo stato dei gradini, ma alla distrazione dell’utente.
Secondo la Corte, la scalinata – monumento storico e per sua natura irregolare – non può essere considerata pericolosa in sé. Le condizioni di quel giorno erano ottimali: tempo sereno, nessuna folla, piena visibilità. La donna conosceva già il luogo e lo aveva percorso altre volte; proprio questo ha spinto i giudici a concludere che il rischio fosse perfettamente prevedibile e superabile con normali attenzioni.
Le lesioni riportate erano state gravi e l’iter giudiziario complesso, ma le ricostruzioni tecniche non hanno evidenziato difetti tali da far ricadere una responsabilità sul Comune. Per la Suprema Corte, la dinamica dell’incidente non è collegabile a un’anomalia della struttura, bensì a un comportamento imprudente.
La sentenza mette così la parola fine alla richiesta di 130 mila euro di indennizzo e condanna la ricorrente anche alle spese processuali. Un caso che riporta al centro un principio spesso trascurato: nei luoghi pubblici, anche quando il contesto è storico o irregolare, l’attenzione personale resta il primo strumento di sicurezza

