(ANSA) A Santhià, paese tranquillo di novemila persone appartato in mezzo alle risaie del Vercellese, una cosa così non era mai accaduta: una famiglia sterminata in casa. Due anziani coniugi e la figlia di 56 anni trovati massacrati nella loro villetta, colpiti con un non meglio identificato “corpo contundente”, forse un martello, forse un soprammobile. Eppure è stata questa la scena che si è presentata agli occhi dei vigili del fuoco quando sono riusciti a forzare la porta d’entrata e a entrare in casa. In serata il nipote, Lorenzo Manavella, 25 anni, si è costituito a Venezia.
E’ sceso dal treno con i vestiti sporchi di sangue e in stato confusionale, ma ha trovato la forza di presentarsi al posto di polizia della stazione Santa Lucia: “Sono stato io, sono stato io – ha ripetuto -. Li ho ammazzati io a Santhià. Volevo costituirmi da voi, e non a Vercelli”. E’ stato disposto per lui l’arresto e il trasferimento in carcere Le vittime della strage sono Tullio Manavella, 85 anni, molto conosciuto in paese per essere stato per anni il direttore delle Poste di Santhià; sua moglie Pina Bono, 78 anni, casalinga e invalida, da tempo costretta su una sedia a rotelle; Patrizia Manavella, la loro figlia di 56 anni. La donna, che lavorava in banca e viveva a Vercelli, ieri si era fermata a casa dei genitori per assistere la madre. I coniugi Manavella vivevano in una villetta bifamigliare in via Marconi 14. Da una parte loro, i nonni. Dall’altra il figlio Gianluca, fratello di Patrizia, e il figlio di lui e della sua prima moglie, Lorenzo, campione di pallavolo e un passato con episodi poco chiari legati alla droga. In questi giorni il ragazzo era rimasto in casa da solo perché il padre era in Sardegna per un aggiornamento professionale. I vicini hanno riferito di averlo visto andare ancora ieri a salutare i nonni, con i quali – dicono – aveva un ottimo rapporto. Ma dalla notte precedente di Lorenzo si erano perse le tracce.
Il suo cellulare risultava sempre “irraggiungibile”. In mattinata lo aveva cercato anche il padre dalla Sardegna, il primo a sospettare che a Santhià potesse essere successo qualcosa. Gianluca Manavella aveva dapprima chiamato a casa dei genitori, ma non aveva avuto risposta. Così aveva cercato sul cellulare prima la sorella Patrizia, poi il figlio Lorenzo. Ancora nessuna risposta. Allora – preoccupato – aveva chiamato l’amico presidente della squadra di pallavolo di Santhià, dove lui lavora come allenatore, e gli aveva chiesto il favore di andare a controllare. L’amico arriva in via Marconi, citofona a lungo, senza risultato.
In quel frangente arriva la badante che assiste i due coniugi, e che ha la chiave di casa. Ma la chiave non entra nella toppa. Allora si decidono i vigili del fuoco. I quali sfondano la porta, entrano in casa e trovano i corpi. Gli investigatori, coordinati dal procuratore capo di Vercelli, Paolo Tamponi, hanno continuato a mantenere un riserbo strettissimo. Sul posto nel pomeriggio sono giunti anche i Ris di Parma. Ma un dato è sempre stato certo: rintracciare Lorenzo Manavella era “fondamentale”. Solo che il ragazzo, campione di pallavolo nella squadra locale, era scomparso. Sulla sua pagina Facebook il suo ultimo messaggio era questo: “La musica è la mia droga, i dj i miei pusher”. In precedenza aveva lasciato questi altri ‘post’: “Unica nota positiva, la pallavolo”; “So di sbagliare ma non merito di essere solo”. In serata la confessione, a Venezia: “Sono stato io, sono stato io”.