L’Italia continua a muoversi a ritmi diversi quando si parla di retribuzioni. Al Nord gli stipendi restano sensibilmente più alti, con la Lombardia che guida la classifica e supera i 30mila euro lordi l’anno. All’estremo opposto, regioni come Calabria, Sicilia e Campania faticano a raggiungere valori che sfiorano appena la metà. Una disparità che non riguarda soltanto l’economia locale, ma incide sulle reali possibilità di crescita professionale e sulla qualità della vita.
A complicare ulteriormente lo scenario interviene il divario di genere: le lavoratrici percepiscono mediamente molto meno dei loro colleghi uomini, complice la diffusione del part-time che rallenta percorsi di carriera e contributi. Il risultato è una forbice che si allarga non solo tra territori, ma anche all’interno degli stessi ambienti di lavoro.
Segnali incoraggianti arrivano dai contratti a tempo indeterminato, in aumento soprattutto nei settori più strutturati. Tuttavia, nel Mezzogiorno il lavoro stabile resta ancora minoritario, sostituito da forme contrattuali più fragili che alimentano precarietà e incertezza.
Il quadro complessivo racconta un Paese che cresce, ma non in modo uniforme. Per colmare il divario salariale servono interventi concreti: incentivi alla formazione, sostegno ai territori più deboli e politiche in grado di rendere il mercato del lavoro più equo e competitivo. Perché senza un riequilibrio reale, l’Italia continuerà a procedere con una parte del Paese costretta a inseguire.

