La qualità dell’aria in Italia continua a destare preoccupazione, con livelli di inquinamento che superano abbondantemente i limiti imposti dall’Unione Europea. Il recente rapporto della Commissione UE e dell’Agenzia europea per l’ambiente conferma che il nostro Paese, insieme alla Polonia, è tra quelli messi peggio sotto il profilo della salute dell’aria. E, mentre gli altri fanno passi avanti, noi restiamo fermi nel nostro bel tappeto di smog.
L’analisi evidenzia che le concentrazioni di particolato fine (Pm2.5) rimangono elevate, con le fasce più vulnerabili – bambini e anziani – tra le prime vittime di questa emergenza. Insomma, respirare in alcune città italiane sta diventando un’attività ad alto rischio.
Un’Italia a due velocità: chi respira e chi soffoca
Tra le 20 regioni italiane, solo cinque possono vantare una qualità dell’aria accettabile secondo gli standard UE: Sicilia, Sardegna, Calabria, Basilicata e Valle d’Aosta. Il resto del Paese è in apnea, con un triste podio dell’inquinamento guidato da Veneto (+56,65% oltre i limiti UE), Lombardia (+55,45%) e Piemonte (+43,43%). Segue a ruota l’Emilia Romagna, dove il problema dello smog è ormai cronico.
Ma la vera domanda è: come siamo arrivati a questo punto? L’Italia sconta decenni di politiche ambientali poco incisive, traffico urbano fuori controllo, riscaldamenti domestici obsoleti e un’industria ancora troppo dipendente dai combustibili fossili. Senza contare la conformazione geografica della Pianura Padana, che trattiene le polveri sottili come una trappola perfetta.
Cosa fa (o non fa) l’Europa?
L’UE ha adottato politiche per ridurre l’inquinamento atmosferico, ottenendo risultati incoraggianti in altri Paesi. Tuttavia, il caso italiano dimostra che gli sforzi non bastano: secondo la Commissione, è necessaria un’azione più incisiva per rispettare gli obiettivi ambientali entro il 2030. In altre parole, servono meno promesse e più fatti concreti.