Il governo britannico guidato dal premier laburista Keir Starmer ha annunciato un inasprimento delle regole per i cittadini stranieri che intendono trasferirsi e lavorare nel Regno Unito. Oltre all’obbligo già esistente di un contratto di lavoro, sarà ora necessario possedere una laurea e dimostrare una conoscenza fluente della lingua inglese.
Questa misura, presentata come una risposta al crescente consenso del partito sovranista di Nigel Farage, mira a ridurre la presenza di manodopera straniera poco qualificata e a incentivare l’occupazione locale. Le aziende che impiegheranno stranieri non in regola rischieranno pesanti sanzioni, e il tempo necessario per ottenere la residenza permanente sarà esteso da cinque a dieci anni.
Le nuove disposizioni stanno già suscitando polemiche, soprattutto tra chi ritiene che l’iniziativa danneggi i giovani europei che puntavano sul Regno Unito per migliorare le proprie competenze linguistiche e professionali. Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha espresso preoccupazione per il rischio di esclusione degli studenti europei, affermando che a pagarne le conseguenze, nel lungo termine, saranno anche i britannici.
Con queste restrizioni, si chiude un’epoca fatta di partenze verso Londra con poche certezze ma grandi ambizioni. Il Regno Unito sembra aver scelto una strada che guarda più all’autosufficienza interna che all’integrazione internazionale.