Nonostante l’avanzata dell’intelligenza artificiale e l’aumento delle richieste di figure professionali legate al digitale, la disoccupazione tra gli under 35 in Italia continua a salire, toccando il 19%. Le aziende sono sempre più orientate all’inserimento di ruoli come AI trainer, data analyst e Chief AI Officer, ma incontrano difficoltà nel trovare candidati con competenze adeguate.
Il fenomeno rivela un grave scollamento tra l’evoluzione del mercato del lavoro e la reale preparazione – o accessibilità – delle nuove generazioni. Il divario è ancora più marcato nel Mezzogiorno, dove il tasso di inattività femminile e giovanile raggiunge livelli critici. A pesare è anche il fatto che solo una minoranza delle imprese utilizza stabilmente l’intelligenza artificiale, mentre il resto si limita a dichiarare buone intenzioni per il futuro.
Se da un lato cresce la domanda di competenze tecniche, dall’altro emerge il valore delle cosiddette soft skill: creatività, empatia e pensiero critico, qualità che la tecnologia non può sostituire. Tuttavia, queste competenze non bastano, da sole, a garantire un inserimento lavorativo stabile.
L’Italia si trova così in una fase di transizione incompleta, in cui le opportunità ci sono, ma non per tutti. Il rischio è che l’innovazione, anziché colmare le disuguaglianze, finisca per accentuarle, lasciando i giovani – soprattutto al Sud – ai margini di una rivoluzione digitale che, per ora, parla più inglese che italiano.