In un’Italia dove il dibattito sui diritti civili si accende e si spegne con la regolarità di un semaforo, la dicitura “Genitore 1 e Genitore 2” ha di nuovo acceso i riflettori sulla questione delle famiglie arcobaleno. Alla luce della recente decisione della Corte d’Appello di Roma, che ha favorevolmente risposto alla richiesta di una coppia di mamme, il governo, con in testa il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, non ha esitato a contrattaccare, preannunciando un ricorso che promette scintille.
Non è la prima volta che le carte d’identità dei minori diventano terreno di battaglia legale e sociale. Già nel 2019, sotto l’egida del ministro dell’Interno Matteo Salvini, si era tentato di regolamentare la questione con un decreto ministeriale. Tuttavia, la tenacia di alcune famiglie e la loro volontà di vedersi riconosciuti i diritti sulle carte d’identità hanno portato il caso di nuovo alla ribalta.
L’Informativa di Piantedosi e il ricorso in Cassazione
L’informativa presentata da Piantedosi non è altro che il preludio a un atto di sfida che vede l’avvocatura dello Stato prepararsi a un ricorso in Cassazione. Al centro del dibattito, la definizione di “padre” e “madre” rispetto a quella più neutra di “genitore 1 e genitore 2”. Una distinzione che, per molti, va oltre la semantica, toccando i diritti fondamentali delle persone e delle famiglie.
La decisione del governo non è passata inosservata. Da un lato, ci sono coloro che vedono nel ricorso un passo indietro nei diritti civili, un tentativo di rinchiudere la famiglia in una definizione obsoleta. Dall’altro, vi sono voci che applaudono l’iniziativa, considerandola un baluardo contro l’erosione dei valori tradizionali.
Quello che è certo è che la battaglia legale e sociale intorno alla dicitura “Genitore 1 e Genitore 2” è tutt’altro che conclusa. Il ricorso in Cassazione promette di essere solo l’ultimo capitolo di una lunga saga che interroga la società italiana sui valori fondamentali di uguaglianza, diversità e riconoscimento.