Confcommercio: “Senza giovani imprenditori, il Paese invecchia anche economicamente”
Tra il 2011 e il 2024 l’Italia ha perso quasi duecentomila imprese fondate o gestite da under 35. A rivelarlo è l’Ufficio Studi di Confcommercio, che nel rapporto “L’importanza dei giovani imprenditori per la crescita economica”, presentato al XVI Forum nazionale dei Giovani Imprenditori a Milano, fotografa un fenomeno preoccupante: in tredici anni sono scomparse 193mila imprese giovanili, di cui oltre 87mila solo nel Mezzogiorno.
Nel complesso, il numero delle imprese under 35 si è ridotto del 30,6%, contro un calo del 4,2% del totale delle imprese italiane. La loro incidenza sul sistema produttivo è passata dall’11,9% del 2011 all’8,7% attuale, con una contrazione di 3,2 punti percentuali.
Secondo le stime, se la quota di imprese giovani fosse rimasta invariata, il Pil nazionale sarebbe oggi più alto di 49–65 miliardi di euro.
Le analisi evidenziano inoltre che la presenza di imprenditori under 35 ha un impatto statisticamente rilevante sulla crescita economica: un incremento dell’1% nella quota di imprese giovanili determinerebbe, in media, una crescita dello 0,7–1% per provincia.
La radice del declino: meno giovani, più tasse, più debito
Dietro il crollo dell’imprenditoria giovanile pesano diversi fattori. Anzitutto la questione demografica: l’Italia ha 10 milioni di giovani in meno rispetto agli anni Ottanta — erano 32,3 milioni nel 1982, oggi sono 22,5 milioni — mentre gli over 65 sono quasi raddoppiati (da 7,5 a 14,6 milioni).
Il Mezzogiorno, meno attrattivo per l’immigrazione qualificata, concentra oltre metà di questa perdita generazionale.
A ciò si aggiunge il peso della finanza pubblica: in quarant’anni il rapporto debito/Pil è più che raddoppiato. Un trentenne del 1982 si portava sulle spalle 280 euro di debito pubblico pro capite, oggi l’importo è quasi quadruplicato. Anche la pressione fiscale è cresciuta di oltre 8 punti, passando dal 34,1% al 42,8%.
Un contesto che, sottolinea Confcommercio, riduce il rendimento del capitale umano e produttivo e frena la propensione dei giovani a intraprendere percorsi d’impresa.
Giovani imprenditori, giovani lavoratori
Un’altra evidenza dello studio riguarda il legame diretto tra età dell’imprenditore e occupazione giovanile: dove ci sono imprenditori giovani, lavorano più giovani.
Le imprese fondate da under 35 — spesso nate negli ultimi cinque anni — mostrano produttività più alta, maggiore uso del digitale e una capacità di adattamento superiore alla media. Durante la pandemia, proprio queste realtà hanno reagito meglio grazie alla digitalizzazione e alla flessibilità gestionale.
Dove i giovani fanno la differenza
La presenza di capitale umano giovane incide positivamente non solo sulla digitalizzazione, ma anche su occupazione, fatturato e produttività. Non a caso, nei servizi di mercato — dai settori creativi al turismo — si concentra la quota più consistente di giovani imprenditori, vero motore dell’innovazione e della competitività.
Le soluzioni secondo Confcommercio
Per invertire la rotta, Confcommercio indica due direzioni strategiche.
La prima riguarda incentivi e fiscalità di vantaggio, capaci di premiare chi avvia nuove attività.
La seconda punta a migliorare l’accesso al credito: poiché le start up comportano rischi più elevati, è necessario rafforzare i meccanismi pubblici di garanzia parziale.
“L’Italia deve tornare a investire sui giovani imprenditori se vuole ritrovare crescita, occupazione e fiducia” — afferma Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio.
“Servono condizioni favorevoli, incentivi mirati e una tassazione più leggera: solo così potremo stimolare il coraggio di intraprendere e rinnovare il nostro tessuto economico”.
Sulla stessa linea Matteo Musacci, presidente dei Giovani Imprenditori Confcommercio:
“Le imprese guidate da giovani assumono più under 35, investono maggiormente in tecnologie digitali e crescono più rapidamente. Che si tratti di raccogliere un’eredità familiare o di fondare qualcosa di nuovo, i giovani imprenditori rappresentano la forza vitale del Paese, la sua energia più innovativa e sostenibile”.
Un “desiderio di futuro” — come lo definisce lo stesso Musacci — che oggi rischia di spegnersi sotto il peso di un Paese che invecchia non solo demograficamente, ma anche culturalmente ed economicamente.

