In Europa, l’età pensionabile sta progressivamente aumentando. Una trasformazione guidata dall’invecchiamento della popolazione, dalla crescita dell’aspettativa di vita e dalla necessità di contenere la spesa pubblica. Ogni Paese stabilisce soglie e modalità differenti, ma la direzione intrapresa è comune: ritardare l’uscita dal mondo del lavoro.
La Danimarca guida questo trend con una soglia fissata a 70 anni. Germania, Spagna, Regno Unito e Italia si attestano tra i 65 e i 67 anni, con innalzamenti pianificati per il prossimo decennio. La Francia resta su una soglia inferiore, ma è oggetto di forti tensioni sociali e riforme in discussione. Nei Paesi scandinavi prevale un approccio flessibile, in base a contributi e longevità, mentre l’Europa orientale, pur partendo da età inferiori, sta adeguando gradualmente i propri sistemi.
In Italia, il limite attuale è 67 anni con almeno 20 anni di contribuzione, salvo eccezioni per lavori usuranti e altre condizioni particolari.
La sfida principale è mantenere un equilibrio tra sostenibilità economica e tutela dei diritti acquisiti. Il calo demografico e la crescente incidenza della popolazione anziana impongono riforme previdenziali strutturali, che tengano conto anche della qualità della vita lavorativa.
Il dibattito resta aperto, tra esigenze finanziarie e garanzie sociali. Una questione che tocca non solo le politiche economiche, ma anche il futuro stesso del lavoro in Europa.