L’idea di usare l’intelligenza artificiale per snellire le procedure burocratiche legate alle scarcerazioni è sempre più concreta. Oggi, in Italia, 19mila detenuti con pene residue inferiori ai tre anni potrebbero accedere alle misure alternative, ma i tempi della fase istruttoria sono spesso lunghissimi, arrivando anche a un anno e mezzo.
L’IA potrebbe intervenire proprio qui, automatizzando la verifica dei requisiti e riducendo il carico di lavoro degli uffici giudiziari. In teoria, la tecnologia permetterebbe di velocizzare le pratiche, valutando l’idoneità del domicilio o le condizioni per la sospensione della pena per motivi di salute senza l’intervento diretto di personale già sotto organico.
Tuttavia, il problema principale non sono tanto i fondi, quanto la cronica mancanza di personale nei tribunali e negli istituti penitenziari. Senza una riforma strutturale e un investimento adeguato nelle risorse umane, il rischio è che l’IA resti una soluzione solo sulla carta.
L’intelligenza artificiale potrebbe rivoluzionare il sistema, ma affinché funzioni davvero serve un impegno concreto per rendere più efficiente l’intero processo di esecuzione penale. Altrimenti, anche il più avanzato degli algoritmi resterà fermo, proprio come le migliaia di richieste in attesa nei tribunali.