Per quattordici anni ha vissuto tra paure e umiliazioni, costretta a subire punizioni che avrebbero spezzato chiunque. La Corte d’Appello ha confermato la condanna a due anni di reclusione per una madre di 43 anni, riconosciuta colpevole di maltrattamenti nei confronti della figlia. Un incubo iniziato sin da quando la bambina frequentava le scuole elementari: un voto basso era sufficiente per costringerla a stare in ginocchio su gusci di noci o chicchi di riso per ore. E quando le punizioni fisiche non erano più praticabili, sono iniziate le umiliazioni psicologiche.
“Avrei fatto meglio ad abortire”, le ripeteva la madre, facendole credere di non valere nulla. Crescendo, la ragazza ha iniziato a capire che quello che viveva non era normale. Allontanata di casa a vent’anni, ha trovato rifugio da un’ex insegnante, che l’ha aiutata a trovare il coraggio di denunciare.
Oggi la giustizia ha dato un segnale chiaro. Lei, però, non cerca vendetta: “Non voglio che mia madre vada in carcere, voglio solo vivere tranquilla”, ha detto in aula. Un desiderio di libertà dopo anni di dolore.